Si è conclusa un’era, questo è un dato di fatto. Il ritiro di Valentino Rossi – come pilota – segna un passaggio storico importante, come già sottolineato da tanti. Questo perché il suo peso specifico all’interno del motomondiale non era dato solo dalla sua capacità sportiva. Valentino è stato un personaggio carismatico, in grado di capitalizzare attorno a sé un vero e proprio culto pop. Quello dello sportivo che trascende i confini della propria nicchia di competenza per esondare nell’immaginario collettivo.
Un’impresa simile è riuscita a pochi. Forse ad Alberto Tomba nello scii, a Michael Jordan nel basket e a Eldrick “Tiger” Woods nel golf, per citare sport che, in Italia, godono di una popolarità minore rispetto al calcio. Ma anche al ciclismo o alla Formula 1, dove la presenza di una scuderia come la Ferrari ha catalizzato su di sé l’attenzione verso gli sport motoristici.
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A.V. L’era pre-valentino
Nel motomondiale dunque c’è stata un’era pre-valentino, dove il pantheon dei piloti era composto da gente come Doohan, Schwantz, Hailwood, Roberts, Lucchinelli e Uncini, e ancora Agostini e Nieto. Piloti fenomenali, ma noti perlopiù nella ristretta cerchia degli appassionati. Un’eccezione si può fare per Agostini, la cui fama ha comunque beneficiato di quella di Valentino. I due sono stati spesso paragonati per l’epicità e la grandezza delle loro vittorie. Per tutti gli altri, dicevamo, il picco di fama è rimasto circoscritto a un poster appeso in qualche officina o in una comparsata TV a fare il commento tecnico.
C’è da dire che la televisione, nell’era pre-valentino, non ha mai reso un bel servizio a questo sport. Il motomondiale rimbalzava tra la seconda serata del Servizio Pubblico, le reti regionali e infine sulle TV a pagamento. La fortuna di vedersi una gara non era alla portata di tutti. Forse per questo, nell’era pre-valentino, l’immagine del motociclista restava una versione meno raffinata del pilota di Formula 1, un incallito outsider imbevuto di machismo da bar sport e serietà poco coinvolgente.
L’apparizione di Rossi nella kermesse è stata dunque la premessa di una rivoluzione non solo sportiva, ma soprattutto mediatica. Colori appariscenti, grafiche cartoon, ironia, provocazione e leggerezza.
Profumo di Storia
Nel 1996, quando Valentino esordì, in pista c’erano già altre due promesse del motociclismo italiano. Max Biaggi, con 4 titoli mondiali in classe 250. E Loris Capirossi, con due titoli in classe 125 e un record personale ancora imbattuto: il più giovane pilota ad avere vinto un titolo nella storia del motomondiale.
Nell’aria c’era profumo di Storia, e questo portò i vertici RAI ad acquistare i diritti del motomondiale. Tra il 1997 e il 2001, il sogno di una ribalta italiana nel mondo delle ruote, veniva raccontata col serioso taglio di una TV incapace di contenere l’esuberanza del pilota di Tavullia.
Il vero cambio di ritmo è avvenuto nel 2002. La DORNA aveva appena trasformato la classe 500 nella Moto GP, e Rossi era un astro in ascesa non solo in pista, ma anche fuori. «Valentino, come fa la tua moto?» recitava lo spot Nastro Azzurro, suo storico sponsor.
Nel 2002 i diritti delle gare vengono acquistati dalla Mediaset, che le trasmette in chiaro su Italia 1, con la cronaca di Guido Meda. Il circus del Motomondiale, con Valentino Rossi in testa, si presenta così a un pubblico di giovani e giovanissimi che su quella rete già seguiva programmi come I Simpson, Dragon Ball, il Grande Fratello, WWE SmackDown. E ancora gli sketch della Gialappa ‘s Band, i servizi de Le Iene, nonché una sequela di telefilm come SmallVille, Six Feet Under, Dottor House, etc. Sarebbe come se oggi la MotoGP venisse trasmessa su Netflix. A Cologno Monzese, insomma, c’avevano visto lungo.
L’ascesa del brand
Da sempre le case motociclistiche investivano parecchio nelle competizioni, tant’è che si diceva “vinci la domenica, vendi il lunedì”, proprio perché chi seguiva il motomondiale era anche chi poi in moto ci andava. Ma con Rossi l’attenzione del pubblico si sposta verso la figura del pilota, perché lui si presenta come un personaggio fruibile (e vendibile) anche a chi di quello sport non si è mai interessato, o anche a chi in moto poi non ci va.
Valentino è stato il primo endorser su due ruote, perfettamente centrifugato da una TV commerciale quale è la Mediaset. La sua storia non si esauriva con la schiacciante superiorità in pista, ma strabordava nella capacità di far teatro di ogni suo vezzo caratteriale e sportivo. I siparietti a fine gara e le accese liti e polemiche che dalla pista proseguivano nel paddock, erano una singolarità perfetta per media, fan e sponsors. E hanno fatto da volano alla trasformazione del pilota in brand.
Brand fatto di simboli precisi e replicabili: dai caschi col sole e la luna a quelli firmati da Aldo Drudi, sino a vari adesivi (The Doctor, Rossifumi, Tribù Dei Chihuahua, WLF), che davano la possibilità a migliaia di tifosi di sentirsi parte di una storia sportiva che si stava scrivendo e di cui si sentivano parte. Simboli poi divenuti un vero e proprio marchio: VR46, il primo a lanciare lo stile, ormai usato da tutti, delle iniziali seguite dal numero. Oggi VR46 è linea d’abbigliamento e Accademy sportiva.
Le televisioni, così come il motomondiale stesso, hanno giovato della comunicazione del brand Valentino, che ha attirato attorno a questo sport migliaia di nuovi appassionati che hanno riempito le tribune degli autodromi e lo share delle reti televisive. Cosa sarà, ora che non corre più?
D.V. L’era post-valentino
Gli ultimi due mondiali, con l’assenza di Marquez e l’inespressività tecnica di Rossi, per molti sono stati l’emblema della mediocrità. Una mediocrità relativa, si intende. Ma sintomo che l’assenza di un fuoriclasse in pista priva spettatori e commentatori di un punto di riferimento con cui confrontarsi. E priva i media della retorica sportiva dell’uomo-da-battere.
Gli avversari di Valentino, al netto delle loro indubbie ed elevate capacità tecniche, hanno fatto da “liquido di contrasto” in questa grande narrazione. Max Biaggi e Lorenzo su tutti, ma anche, seppur in misura minore, Gibernau, Pedrosa, Hayden e Stoner. Tutti loro sono stati, per il pubblico e non solo, gli avversari di Rossi. Coloro che hanno assaltato il castello, sfidato il re, messo in discussione il suo dominio, contribuendo, volenti o nolenti, ad accrescerne la fama e la popolarità, e ad allungarne il racconto sportivo.
Valentino è stato il pilota capace di dominare i weekend di gara. Il pilota capace di fughe solitarie e di rimonte al limite dell’imbarazzante per gli avversari. Il pilota capace di costruire attorno a sé un’epica sportiva che attraversa classi, categorie, mezzi, tragedie (l’incidente e la morte di Simoncelli), fatti privati (la questione dell’evasione fiscale), e mette a sistema tutto il circus mediatico e sportivo.
Oggi, in MotoGP, sembra esserci un gruppo di piloti velocissimi-bravissimi-educatissimi, ma incapaci di bucare lo schermo, di elevarsi dal gruppo. Piloti privi di un’epica-eroica, necessaria alla sopravvivenza mediatica dello sport.
Con buona pace di Fabio Quartararo, del mondiale 2021 ci si ricorderà per il saluto alla curva di Valentino. E con buona pace di Mir, del mondiale 2020 ci si ricorderà per l’infortunio di Marquez e il probabile inizio della sua parabola discendente.
L’ultimo avversario
Marc Marquez è stato forse l’ultimo, e l’unico tra i tanti piloti che hanno tentato l’assalto al castello, a porsi come l’erede sportivo-mediatico di Valentino. La capacità atletica dello spagnolo è stata fuori misura rispetto a quella degli altri piloti. E tale superiorità l’ha portato, tra il 2013 e il 2019, a scrivere una pagina di motomondiale simile a quella scritta da Valentino tra il 2001 e il 2009. Ad esempio, nel 2002 Valentino è andato a podio 15 gare su 16, con 11 primi posti e un ritiro. Nel 2019 Marquez è andato a podio 18 gare su 19, con 12 primi posti e un ritiro.
Marquez è stato un Super Saiyan tra i Saiyan. Un centauro metà uomo-metà moto, capace di far serpeggiare teorie del complotto – come quella dell’elettronica che gli raddrizza la moto – tra i suoi detrattori, molto presenti in Italia per via del fantomatico biscotto del 2015 ai danni di Rossi.
Ma sia la Honda, che su di lui aveva puntato tutto costruendogli una moto su misura, quasi fosse una sua protesi estensiva; che la DORNA, che su MM93 ha costruito la nuova narrazione dell’uomo-da-battere, sono rimaste con un pungo di mosche in mano a seguito dell’infortunio del 2020, dimostrando che ad acchiappare le stelle, ci si brucia.
Una lezione che sembra aver capito la Ducati, che negli anni passati, dopo la fortunata parentesi Stoner, aveva tentato il colpaccio prima con Valentino e poi con Lorenzo, ottenendo due giganteschi buchi nell’acqua.
Si accusava allora la casa di Borgo Panigale di mettere il carro davanti ai buoi, e questa cosa – che il pilota deve adattarsi alla moto e non viceversa – pare sia incompatibile con le Prime Guide. Vero o meno, la Ducati è cresciuta con una batteria di gregari di prima qualità – Dovizioso su tutti – che in un lavoro corale hanno portato avanti lo sviluppo di una moto che oggi, tra quelle in pista, è la più competitiva e veloce, nonché la più utilizzata. Per il 2022 un terzo delle moto in griglia di partenza (8 su 24) saranno Ducati.
Una corazzata che punta al terzo mondiale costruttori di fila. E sogna quello piloti il quale, tolta la già detta fortunata parentesi Stoner, è mancato perché è mancato il pilota in grado di fare la differenza, in grado di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ora sembra che l’abbiano trovato, proprio grazie a Valentino.
Nuovi eredi
Francesco Bagnaia, classe ‘97, pilota ufficiale Ducati cresciuto nella VR46 Accademy, ha chiuso la stagione 2021 in 2° posizione assoluta, conquistando 9 podi e 4 vittorie. Una crescita spaventosa se si guarda ai risultati del 2019 e 2020 (seppur fatti con moto di team satellite). Le aspettative per il 2022 sono dunque altissime. Sarà curioso vedere se la Ducati sceglierà di supportare in tutto e per tutto la stella per vincere l’agognato titolo piloti, o questa dovrà cavare il sangue dalle rape quando tra i limiti della moto e il titolo resterà solo il suo talento a metterci una pezza.
In ogni caso, con Marquez ancora lontano dal riprendere la forma perfetta – e ci si chiede se mai la riprenderà –, Bagnaia e la Ducati, se partiranno con lo stesso ritmo con cui hanno chiuso la stagione, saranno la coppia da battere. Sebbene lontani dagli estri sportivi e mediatici cui gli ultimi 20 anni di Moto GP ci hanno abituato. Quanto a riprenderli però, è forse questione di poco, visto che in Moto3 sembra affacciarsi un nuovo talento puro, Pedro Acosta, che ha tutte le carte per essere il nuovo uomo-da-battere nonché la futura bandiera del Motomondiale.
Stoner Lorenzo Marquez cosa ? Per fortuna che finalmente, è ripeto finalmente dopo anni di mediocre ( quasi un complimento) prestazioni il grande sig Rossi abbia mollato l’osso. Si sa quanto sia attacco alla grana Finalmente il tifo da stadio dei cappellini gialli pian piano sparirà. Non dimenticero’ mai una tribuna intera esultare come per un gol della nazionale perché Stoner con la Ducati ( che vinceva solo x le gomme migliori che Rossi non aveva )era caduto
Alla larga finalmente questa gentaglia col loro re.
Ciao, e grazie del commento.
Valentino è stato certamente uno sportivo divisivo, che ha avvicinato alle competizioni motociclistiche tanti fan che prima di lui non si interessavano a questo sport. Questo per molti è stato un male, ma non si può negare che tutto il circus della MotoGP ne abbia beneficiato in termini di visibilità e attrazione, anche da parte delle stesse case motociclistiche. Se la MotoGP è quel che è oggi, parte di questo successo lo si deve a Valentino, sia come pilota, che come personaggio. Forse in futuro è meglio non essere così dipendenti da un singolo pilota, ma i meccanismi che muovono la promozione mediatica e il successo di uno sport, passano anche da questo.
Un saluto
Ciao , forse ho un po esagerato
Valentino ha polarizzato senza dubbio.
La sua tifoseria o meglio dire ex tifoseria di motociclismo non sono mai stati veri appassionati .Azzardo a sostenere che più della metà dei suoi grandi tifosi adesso la motogp non la segue più. Indubbiamente il personaggio ha portato grandi benefici a questo sport.
La domanda potrebbe essere a che prezzo?
Sicuramente adesso se vuoi vedere la motogp devi pagare….Mi viene in mente la Ferrari , adesso che performa quanti tifosi…
Purtroppo in Italia è così, si va vedere la Ferrari se vince o almeno ci va vicino. Prima solo critiche
Un vero appassionato c’è sempre , era questo che volevo dire. Ciao l’articolo comunque è buono , avanti così e fammi sapere quando pubblichi qualcosa..
Ciao,
scusa il ritardo nella risposta, non avevo visto la notifica del commento e mi è sfuggito, perdonami.
Comunque, capisco perfettamente il tuo punto di vista. L’apertura di un settore/prodotto verso un pubblico più ampio e “generalista” ha il merito di rendere più visibile (e remunerativo) quel settore/prodotto, ma di contro si porta dietro anche tanti, passami il termine, appassionati della domenica. Non è questione solo italiana o relativa alla MotoGP, vale in qualunque settore. In campo motociclistico questo è avvenuto con gli scooter ad esempio, ma vale anche per la fotografica, l’editoria, la cucina e altri settori. Ne ho parlato proprio nell’articolo di apertura del blog (qui il link: https://www.quellodellamoto42.com/una-lettera-aperta-al-mondo-delle-due-ruote/). Io non so se sia un male o un bene, ma è certo che la motogp oltre che una competizione, è un’industria, e come tale a fine mese deve far quadrare i conti, altrimenti chiude baracca, perciò il compromesso di aprire ad appassionati di passaggio credo ci sarà sempre, ci si deve convivere, altrimenti si fa la fine della superbike. Vedi per esempio quello che ha fatto la Formula 1 per uscire da questo inghippo.
Ti ringrazio comunque del commento e della fiducia. Ho in cantiere altri articoli, però facendolo come hobby non ho costanza con le tempistiche 😀 spero di riuscire a pubblicare qualcosa presto, magari proprio su questi temi. Grazie
Bellissimo articolo, senza le solite fanfare e tiritere
Grazie mille Claudio 🙂